Ma i camionisti piangono?

27 Novembre, 2022

illustrazione: anomino Pinterest (se trovate l’autore segnalatemelo)

Ma i camionisti piangono?
Pensavo venerdì pomeriggio quando, dopo una giornata di lavoro e di fatiche telefoniche alla ricerca di pacchi dispersi in giro per le province marchigiane, mi sono messa in macchina per raggiungere Vicenza.

Tendenzialmente la curva emotiva dei miei viaggi in macchina si muove così:

  • parto orgogliosa di me stessa per l’intraprendenza mostrata nell’affrontare un lungo viaggio da sola (in questa occasione di notte e con la pioggia);
  • dopo 30 minuti mi sembra di essere ancora ad Ancona e inizio a pensare “Ma come c’ho pensato?! Se prendevo il treno a quest’ora parlavo con la Margherita di turno o leggevo qualche libro o mi sfondavo i timpani con le chiamate in sospeso”.
    Questo è il momento in cui avrei voglia di fermarmi al primo autogrill mettermi a piangere in macchina, poi addormentarmi con il rimmel scolato e svegliarmi il giorno successivo per rimettermi in viaggio pimpante;
  • non mi fermo;
  • chiamo qualcuno che mi faccia compagnia.
    Spesso succede che l’intenzione sia quella di parlare una ventina di minuti e finisce che arrivo in Slovenia e la povera vittima (che forse molto da fare non lo aveva) è ancora lì con me. Perchè a quel punto vengo posseduta dallo spirito dell’autotrasportatore e potrei guidare per le successive 10 ore dimenticando di avere una vescica, una spina dorsale da stendere, una cervicale da rispettare e un corpo fatto di liquidi da rimboccare;
  • quando mi rendo conto di essere quasi arrivata inizio a lamentarmi che non ne posso più. Infatti solo a quel punto mi ricordo che sono 4 ore che non mi fermo e inizio, con colui che si sta sacrificando telefonicamente, a lamentarmi del mal di testa, della fame, della pipì, dell’alluce valgo, del buco alle orecchie, dell’acido lattico e della distruzione delle foreste.

Ma poi arrivo e ne vale sempre la pena.

A Vicenza ho visto un cucciolo d’uomo che si porta dietro una grande magia ed è sorretto da un tappeto volante fatto dell’amore infinito di tante persone.

Ho visto quasi 100 persone e ne ho abbracciate almeno la metà, sentendo in quei corpi la tenerezza, la comprensione, l’umanità, i profumi e l’emozione.

La notte mi hanno quasi ammazzata con il cibo ma poi a chi non muore gli fai lo sconto e la paura della querela per avvelenamente passa.

Ho trovato un parco pieno di conigli all’alba e ho cercato disperatamente, invano ovvio, di prenderne uno mentre un signore anziano guardava scoraggiato il frutto delle nuove generazioni.

Ho erroneamente mangiato del formaggio vegano e ancora mi chiedo “Ma perchè?!”.

Ho dormito in una stanza a 30 gradi, con un maglione di lana e un piumone.
Tutti mi hanno chiesto se ho sudato e no, non ho sudato, anzi, mi sembrava un po’ freschetto.

Ho trovato 4 libri che sostavano nascosti  in un negozio dell’usato e mi sembra di aver trovato un tesoro immenso.

Con Lorenzo abbiamo parlato di tante cose, ed è stato molto tenero ad aver capito al settordicesimo sbadiglio che non c’ho più l’età.

Infine sono tornata.
A casa. Dai figli. Da chi amo.
Dal mio porto, dal luogo dal quale avrei sempre desiderato fuggire che ora è tazza tiepida dei miei rimpatri.
Ogni volta che torno mi sembra di aver compiuto un’impresa eroica e l’orizzonte delle mie possibilità si estende.
Grazie Mariapia Sala per aver organizzato tutto con dedizione e cura estrema anche quando il corpo ti ha fermata.
Grazie a tutto il team di Edukatù, siete belle belle e il vostro progetto merita di essere sostenuto e di ricevere piume soffici per costruire ali robuste.
Grazie a tutti e tutte, piccini e grandi, è stato un onore conoscervi

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