non dirmi bravo

23 Marzo, 2018

Ci sono pericoli che si annidano nell’ordinarietà, laddove tutto sembra normale, a volte quasi necessario.
“bravo”, “bravissimo”, “sei il numero uno”, sono parole, frasi semplici. Sembrano totalmente innocue, sono cordiali, affabili.
Eppure nascondono una minaccia.
Il bambino dal momento in cui nasce, sa perfettamente che la sua sopravvivenza dipenderà da quegli esseri grandi che ha accanto, che chiamerà mamma e papà, appena i suoi strumenti glielo permetteranno, poi verrano tutti gli altri, zii, nonni, maestri, ecc..
Ogni bambino che nasce sa perfettamente che la principale lotta per la sopravvivenza va combattuta nel campo dell’amore.
Per sopravvivere bisogna essere amati, per essere amati bisogna creare un legame di attaccamento duraturo con la persona amata.
Per farlo il bambino è disposto a tutto.
Da quando nasce il neonato modifica le proprie azioni e comportamenti sulla base delle risposte che l’ambiente gli rimanda.
Quando faccio qualcosa bene, mi vien detto bravo.
Quando mi vien detto bravo gli adulti che ho accanto sono felici.
Quando gli adulti che ho a fianco sono felici tengo stretta la mia vita.
Uguale: gratificare gli adulti produce sopravvivenza, l’amore si guadagna con le prestazioni, se sono bravo sono amato.
E quando gli viene detto bravo?
Solitamente i casi sono:
– rinforzare un comportamento che riteniamo socialmente accettabile (“bravo che ti sei soffiato il naso invece di leccarti il muccio colante!”);
– incoraggiare progressi (“bravo che hai iniziato a leggere”);
– gongolare come genitori (“bravo che alla riunione di condominio sei stato sempre zitto, seduto”, TRADUZIONE “ grazie che noi sei stato petulante e che mi hai fatto fare una splendida figura da BRAVO genitore davanti agli altri”);
– sottolineare positivamente episodi che speriamo che si ripetano in futuro (“bravo che hai mangiato tutti i broccoli”).
Il problema reale e grave di questa parola (e di tutti i sinonimi) è che salta il passaggio dell’azione, ovvero, per rinforzare, sottolineare evidenziare un comportamento o un atto esprime un giudizio sulla persona e innesca il pericoloso e micidiale meccanismo di confusione tra fare ed essere.
Tra essere se stessi ed essere ciò che gli altri vogliono.
Tra fare qualcosa per una motivazione intrinseca ed una estrinseca.
E per favore, non uscite con la storia del “ci siamo cresciuti tutti”, anzi questa dovrebbe l’ennesima prova che qualcosa è andato storto.
Sarà un’impressione tutta mia, ma credo che gli adulti di oggi vivano nella psicosi del giudizio, si autoboicottino per il timore di fallire, cerchino amore laddove stanno solo cercando riconoscimento, confondono se stessi con il proprio lavoro, i propri insuccessi con la propria identità.
Riempire il bambino di lodi, di bravi, di giudizi entusiasti, costruirgli un’immagine di sé elevatissima, ineccepibile è la miglior via per renderlo un adulto fragile, insicuro, spaventato, nevrotico, con un senso di inferiorità costante verso quello standard costruitogli.
La paura di non essere più bravo sarà direttamente collegata alla paura di non essere amato e quindi di non sopravvivere.
Provate a farvi un giro sul libro “il dramma del bambino dotato e la ricerca del vero sé”, due pagine al giorno non di più. Alice Miller spiega nei dettagli quali possono essere le conseguenze dell’esser stato dei bravi bambini, ovvero dei bambini estremamente sensibili che sono accorsi in soccorso delle fragilità dei genitori. Sacrificandosi sull’altare dell’amore hanno smarrito se stessi.
Contateli i bravi che dite ogni giorno ai vostri figli, poi contate i bravi che ricercate per voi.
E ora che fare?
Semplice, iniziate a cambiare!! Esercizi per casa: ogni volta che state per dire un bravo pensate per cosa lo state dicendo e verbalizzate il processo mentale completo che avete fatto. Alcuni esempi:
– Giulia vi porta a far vedere un disegno, invece di lodarla provate a dire “Sembra che tu ti sia divertita moltissimo, è così?”
– Se il bravo vi sta uscendo per un nuovo progresso del bambino provate a nominarlo e esprimere la vostra vicinanza, es: Luca ha appena fatto una capriola dopo tanto che ci provava, potete dirle “Che bello che sei riuscito a fare una capriola dopo così tanto esercizio devi essere orgoglioso di te stesso!”;
– la mattina quando lo portate a scuola, invece di dirgli “fai il bravo oggi”, provate a dire “spero che tu trascorra una splendida giornata. Sii te stesso.
Mi raccomando non confondete il riconoscimento e il bisogno di esser visti con la gratificazione dell’adulto.
E’ molto semplice condurre un bambino dove vogliamo noi, è difficilissimo riportare un adulto smarrito da dove tutto era partito.
Quando era pura vita, desiderosa di esserci.

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